venerdì, maggio 30, 2014

Tre modi di scrivere per l'infanzia, C.S. Lewis

Buon pomeriggio, bloggers e lettori! Oggi vi parlerò del saggio che C.S. Lewis scrisse in postfazione alle "Cronache di Narnia", ovvero "Tre modi di scrivere per l'infanzia".

Questo saggio (On three ways of writing for children) fa parte del libro "On stories and other essays on literature" e penso che Lewis l'avesse scritto per rispondere alle critiche che gli erano state mosse dopo la conclusione delle "Cronache di Narnia". Lewis comincia dicendo che esistono tre modi di affrontare la scrittura per l'infanzia, due sono buoni e il terzo è cattivo, e ci da' un esempio sia dei buoni che del cattivo:

  1. Una signora gli inviò un manoscritto dove una fata dava al bambino uno strano congegno che schiacciando un bottone poteva dargli tutto ciò che desiderava, lui le rispose che non credeva a questa cosa e quella stessa autrice gli disse: "Neanche a me." ha ammesso la signora: "Anzi, mi irrita, ma è questo che vogliono i bambini moderni." 
  2. Il secondo esempio si ha quando Lewis riferisce ai lettori che un conoscente, padre di figli, gli ha detto che lui ha pensato che avesse inserito l'episodio del fauno che dà da mangiare a Lucy ne "Il leone, la strega e l'armadio" per dimostrare una specie di ricompensa alla bambina. Lewis dice che non ha sottinteso niente di tutto questo, che non è vero che per compiacere il pubblico adulto bisogna sempre e solo parlare di sesso anche quando non c'è.
Entrambi questi due metodi vedono la scrittura per l'infanzia come un dare ai bambini quello che vogliono e proprio perché sono un pubblico speciale bisognare da loro ciò che vogliono, indipendentemente che noi ci crediamo oppure no. 

 Il secondo metodo, quello buono, è quello adottato da Lewis Carroll, Kenneth Grahame e Tolkien. "Il racconto è uno sviluppo di quello narrato a voce ad un bambino reale, spesso in modo estemporaneo. Somiglia al primo perché cercare di dare al bambino quello che vuole, ma l'ascoltatore è una persona concreta, un ragazzo diverso dagli altri ragazzi". 

Non è giusto considerare i "bambini" una specie curiosa, i cui desideri vanno stabiliti da noi adulti come se noi fossimo antropologi o viaggiatori, questo non può funzionare. Se invece ci troviamo faccia a faccia con il nostro ascoltatore non è possibile dargli qualcosa che non prendiamo in considerazione, che trattiamo con indifferenza e disprezzo. Quando si racconta una storia a voce ai bambini, lo si fa per farla vivere, e in questo caso la natura del narratore e la natura dell'ascoltatore coincidono; il risultato è una personalità composita. 

Il terzo metodo consiste nello scrivere un racconto per l'infanzia perché esso è la forma migliore per esprimere quello che si ha da dire. Questo metodo si applica a tutti i generi della letteratura infantile. Ad esempio Arthur Mee non ha mai incontrato un bambino e nemmeno desiderava farlo, secondo lui era fortunato che i bambini leggessero ciò che scriveva. 

Dentro al "racconto per bambini" ci sono due sotto-tipologie:
  1. Il fantastico
  2. La fiaba (e Lewis era più propenso per questa)
La trilogia di E. Nesbit è caratterizzata da personaggi bambini visti da un punto di vista prettamente adulto e quindi intrisi dal sentimentalismo tipico con cui i genitori guardano i propri figli, infatti se descriviamo un romanzo per bambini dal punto di vista dei genitori scadremmo inevitabilmente nel sentimentalismo ed in questo caso sarebbe l'infanzia stessa a soffrirne. La trilogia, anche se contiene episodi improbabili, fornisce al lettore adulto più materiale per capire il mondo dei ragazzi che non altri libri creati appositamente per loro e con lo scopo di educarli. L'esperienza vissuta dai bambini differisce da quella dei nostri parenti e genitori, per questo è importante creare qualcosa che insegni loro qualcosa in un modo che sia piacevole sia per il lettore adulto che per il giovane ascoltatore. 

Il principio generale, basato sulla trilogia dei Bastable, è questo: "Se il racconto non è altro che la forma più idonea ad esprimere quello che l'autore ha da dire, allora i lettori interessati all'argomento vorranno leggerlo e rileggerlo. Solo le storie veramente affascinanti durano." e qui cita Sir Michael Sadler, autore de "Il vento nei salici". 

Le fiabe o i racconti fantastici sono visti malamente dal mondo adulto, che fa apparire "la nostalgia" per quel mondo una cosa brutta, ed infatti gli adulti che leggono fiabe o tali racconti sono considerati dagli "adulti" più "adulti" delle persone affette dal "Peter Pantheism" ovvero la Sindrome di Peter Pan, conosciuta e disprezzata. Lewis articola perciò l'argomentazione a questa critica in 3 punti (li cito):
  1. Tu quoque. I critici che usano l'aggettivo "adulto" come un complimento anziché come un semplice termine descrittivo, non possono essere considerati adulti in prima persona. E' giusto preoccuparsi di sembrare grandi, arrossire per le cose da grandi perché sono da grandi, arrossire al sospetto di passare per infantili sono i classici segni di di fanciullezza e adolescenza. Questi segni e queste fasi della vita sono sintomi positivi perché vuol dire che l'organismo giovane aspira a crescere e prolungare la prima maturità e nella mezza età. La preoccupazione di essere adulto è un autentico sintomo di sviluppo bloccato. Lewis a dieci anni leggeva le fiabe di nascosto perché se ne vergognava, a cinquanta le leggeva senza preoccuparsi di ciò che dicevano gli altri.
  2. Il punto di vista moderno ha una falsa nozione di crescita. Ci accusano di arresto dello sviluppo perché non abbiamo i gusti che avevamo da ragazzi, ma l'autentico arresto non può consistere nel rifiuto di abbandonare un patrimonio, bensì nell'acquisirne uno nuovo. Non è vero che per crescere e diventare adulti dobbiamo abbandonare ciò che ci piaceva da piccoli, quello sarà sempre una parte di noi, solo che noi siamo cambiati, abbiamo acquisito nuovi gusti e nuovi interessi. E' crescita personale, non regresso. Alcuni critici confondono il crescere con il prezzo del crescere e sembrano avere tutto l'interesse a far lievitare il costo oltre il necessario.
  3. L'associazione della fiaba e del fantastico con l'infanzia è un pregiudizio locale e occidentale. Poi cita il saggio di Tolkien sulla fiaba "On fairy stories". Nella maggior parte dei tempi e dei luoghi, la fiaba è stata creata per i bambini e apprezzata solo da loro. Ha cominciato a gravitare attraverso la nursery nei circoli letterari e poi è passata di moda. Alcuni bambini non amano i libri di favole, mentre ci sono alcuni adulti che ancora continuano ad amarli. Tutti e due amano le favole, ma non sappiamo esattamente perché.
Qui espone le teorie di Tolkien e di Jung.
  • Secondo Tolkien il fascino della fiaba stava nel fatto che essa l'uomo esercita pienamente la facoltà di "sub-creatore". A suo modo di vedere, questa è una delle funzioni più caratteristiche dell'essere umano.
  • Secondo Jung la fiaba libera archetipi che dormono nell'inconscio collettivo. Noi ubbidiamo all'antico precetto del "conosci te stesso". 
In conclusione, Lewis dice che dobbiamo scrivere un racconto per bambini con lo scopo di aiutarli a combattere i mostri e i draghi del mondo reale, perché quando saranno grandi dovranno affrontare un altro tipo di "mostri" e ogni sorta di difficoltà. In fondo l'obbiettivo del fantasy è proprio questo: raccontare ai bambini di draghi, cavalieri e principesse non per spaventarli o intimorirli ma per mostrare loro che il bene vince sempre sul male e che tutte le difficoltà, anche le più difficili, possono essere superate con un po' di buona volontà. 

Vi lascio con questa citazione tratta da "Tre modi di scrivere per l'infanzia": "Dei più profondi e difficili rapporti bambino-genitore e genitore-bambino non dirò niente: uno scrittore, in quanto semplice scrittore, è al di fuori di tutto questo. Lo scrittore non è neppure uno zio: è un uomo libero, un uguale come il postino, il macellaio o il cane della porta accanto".

Giada

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