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mercoledì, agosto 26, 2015

Recensione di "Storia di una ladra di libri" di Marcus Zusak

Sono arrivata a leggere “Storia di una ladra di libri” senza aver visto il film ma, avendo dato un’occhiata alle varie recensioni; ad essere sincera mi aspettavo un libro che mi prendesse dalla prima all'ultima pagina, tenendomi incollata fino alla fine.
Purtroppo non è stato così: sono dovuta arrivare quasi a metà delle oltre 500 pagine per entrare appieno nella vicenda e iniziare ad apprezzare l’opera. L’autore – di cui avevo già letto “Io sono il messaggero” – utilizza uno stile molto particolare, inframezzando il testo con parti graficamente slegate che rappresentano anticipazioni, riassunti, precisazioni su quanto viene raccontato, spezzando la fluidità della storia.
L’originalità dello spunto, è infatti la Morte il personaggio narrante, viene a mio giudizio compromesso da questo accorgimento sintattico che frammenta troppo la lettura.
La storia in sé, tuttavia, mi è piaciuta: la protagonista Lisel, l’amico Rudy, i genitori adottivi, l’ebreo fuggitivo Max vivono (e convivono) nella Germania nazista che viene raccontata anche nelle sue sfaccettature drammatiche proprio dalla voce della Morte che – in tono ironico – spesso si lamenta di aver avuto un gran daffare in quel periodo storico.
Il libro, in origine pubblicato con il titolo “La bambina che salvava i libri”, rappresenta una piacevole lettura una volta metabolizzato lo stile dell’autore e merita di essere letto sia per la possibilità che offre di ripercorrere una parte del recente passato sia per riflettere sull'importanza della scrittura e delle parole.




«Poco dopo non ci furono che brandelli di parole sparsi fra le sue gambe e tutto in torno a lei. Le parole. Perché dovevano esserci delle parole? Senza parole, nulla sarebbe esistito: senza parole non ci sarebbero stati il Führer, né prigionieri zoppicanti, nessun bisogno di conforto o giochi di prestigio per farci sentire meglio. Che bene facevano le parole?»

Irene Milani

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