PREMESSA
«Un'opera carnevalesca che va al di là di ogni canone, ha uno stile deflagrante che confonde i sensi e ha la capacità di destabilizzare il lettore mescolando vero e falso, reale e onirico.» – La Lettura
«Uno degli esemplari più interessanti e riusciti di letteratura ergodica, ovvero di quella letteratura che richiede al lettore uno sforzo maggiore e che consente allo scrittore di intervenire graficamente sul testo in funzione di personaggi e trama (note fitte, parole in colori diversi, font differenti e via dicendo).» – Tiziana Lo Porto, Il Venerdì
«Una delle narrazioni più ardite degli ultimi anni» – Robinson
«Questo romanzo diabolicamente brillante è impossibile da ignorare, metter giù o anche decidersi a finirlo. Se ne comprate una copia potreste persino trovarmi fra le sue pagine, ridotto in miniatura come Vincent Prize ne La Mosca, intrappolato per sempre nella rete delle sue maligne, bellissime pagine.» – Jonatham Lethem
Quando la prima edizione di Casa di foglie iniziò a circolare negli Stati Uniti, affiorando a poco a poco su Internet, nessuno avrebbe potuto immaginare il seguito di appassionati che avrebbe raccolto. All’inizio tra i più giovani – musicisti, tatuatori, programmatori, ecologisti, drogati di adrenalina –, poi presso un pubblico sempre più ampio. Finché Stephen King, in una conversazione pubblicata sul «New York Times Magazine», non indicò Casa di foglie come il Moby Dick del genere horror. Un horror letterario che si tramuta in un attacco al concetto stesso di «narrazione». Qualcun altro l’ha definita una storia d’amore scritta da un semiologo, un mosaico narrativo in bilico tra la suspense e un onirico viaggio nel subconscio. O ancora: una bizzarra invenzione à la Pynchon, pervasa dall’ossessione linguistica di Nabokov e mutevole come un borgesiano labirinto dell’irrealtà. Impossibile inquadrare in una formula l’inquietante debutto di Mark Z. Danielewski, o anche solo provare a ricostruirne la trama, punteggiata di citazioni, digressioni erudite, immagini e appendici. La storia ruota intorno a un misterioso manoscritto rinvenuto in un baule dopo la morte del suo estensore, l’anziano Zampanò, e consiste nell’esplorazione di un film di culto girato nella casa stregata di Ash Tree Lane in cui viveva la famiglia del regista, Will Navidson, premio Pulitzer per la fotografia, che finirà per svelare un abisso senza fine, spalancato su una tenebra senziente e ferina, capace di inghiottire chiunque osi disturbarla.
Qualche mese fa, nel gruppo di Tortellini Chiacchierini, mi è stato consigliato questo romanzo. Sapevo soltanto a grandi linee di cosa trattava, e la prima volta che l'avevo prenotato nella Rete poi mi sono rimessa a scrivere, quindi alla fine l'ho rimandato indietro. Ebbene, sono felice di esser riuscita a leggerlo! Perfetto per la spooky season appena cominciata! E' un libro di metanarrativa molto molto impegnativo, che può essere letto con due chiavi di lettura: una horror e una come una storia d'amore... and guess what? Io l'ho letto come un horror, non poteva essere altrimenti.
TRAMA (DA LAFELTRINELLI.IT)
Impossibile inquadrare in una formula l’inquietante debutto di Mark Z. Danielewski, o anche solo provare a ricostruirne la trama, punteggiata di citazioni, digressioni erudite, immagini e appendici.«Un'opera carnevalesca che va al di là di ogni canone, ha uno stile deflagrante che confonde i sensi e ha la capacità di destabilizzare il lettore mescolando vero e falso, reale e onirico.» – La Lettura
«Uno degli esemplari più interessanti e riusciti di letteratura ergodica, ovvero di quella letteratura che richiede al lettore uno sforzo maggiore e che consente allo scrittore di intervenire graficamente sul testo in funzione di personaggi e trama (note fitte, parole in colori diversi, font differenti e via dicendo).» – Tiziana Lo Porto, Il Venerdì
«Una delle narrazioni più ardite degli ultimi anni» – Robinson
«Questo romanzo diabolicamente brillante è impossibile da ignorare, metter giù o anche decidersi a finirlo. Se ne comprate una copia potreste persino trovarmi fra le sue pagine, ridotto in miniatura come Vincent Prize ne La Mosca, intrappolato per sempre nella rete delle sue maligne, bellissime pagine.» – Jonatham Lethem
Quando la prima edizione di Casa di foglie iniziò a circolare negli Stati Uniti, affiorando a poco a poco su Internet, nessuno avrebbe potuto immaginare il seguito di appassionati che avrebbe raccolto. All’inizio tra i più giovani – musicisti, tatuatori, programmatori, ecologisti, drogati di adrenalina –, poi presso un pubblico sempre più ampio. Finché Stephen King, in una conversazione pubblicata sul «New York Times Magazine», non indicò Casa di foglie come il Moby Dick del genere horror. Un horror letterario che si tramuta in un attacco al concetto stesso di «narrazione». Qualcun altro l’ha definita una storia d’amore scritta da un semiologo, un mosaico narrativo in bilico tra la suspense e un onirico viaggio nel subconscio. O ancora: una bizzarra invenzione à la Pynchon, pervasa dall’ossessione linguistica di Nabokov e mutevole come un borgesiano labirinto dell’irrealtà. Impossibile inquadrare in una formula l’inquietante debutto di Mark Z. Danielewski, o anche solo provare a ricostruirne la trama, punteggiata di citazioni, digressioni erudite, immagini e appendici. La storia ruota intorno a un misterioso manoscritto rinvenuto in un baule dopo la morte del suo estensore, l’anziano Zampanò, e consiste nell’esplorazione di un film di culto girato nella casa stregata di Ash Tree Lane in cui viveva la famiglia del regista, Will Navidson, premio Pulitzer per la fotografia, che finirà per svelare un abisso senza fine, spalancato su una tenebra senziente e ferina, capace di inghiottire chiunque osi disturbarla.
RECENSIONE
AAAAh! Quanto amo gli horror fatti bene (e scritti bene!). Questo romanzo, questo monumentale romanzo è un horror coi controfiocchi, che presenta due chiavi di lettura - di cui vi avevo già accennato - e di cui io ho scelto la lettura in chiave horror. Ma non è solo questo. Adesso, andrò nel dettaglio a raccontarvi di quest'experience letteraria fuori dal normale (V.M. Straka I see you, tu sei il prossimo!)
Casa di foglie non è un romanzo semplice, anzi. E' difficile da tenere in mano, dato la sua mole. E bisogna leggerlo per bene, non solo le parti dedicate al documentario sulla casa di Will Navidson e la sua famiglia - un fotografo premio Pulitzer che, per tentare di salvare la sua famiglia e il rapporto con sua moglie, decide di trasferirsi in una casa isolata, nelle campagne sperdute della Virginia. Bisogna leggere le note a piè di pagina, dato che è scritto come una sorta di tesi di laurea, con tanto di fake bibliografia e fake citazioni di autori di grosso calibro, come Stanley Rubik, Stephen King e Donna Tartt (trovo ironico tutto ciò, perché il libro che dovrebbe arrivarmi oggi è proprio della Tartt). Ci sono due stili di scrittura diversi, ma sono diversi anche a livello tangibile nel testo, tanto che il fake documentario ha una formattazione diversa, proprio come se tu stessi leggendo un articolo di una persona che ha studiato e si è documentata su La versione di Navidson, che altro non è che un documentario horror sulla casa. Il narratore è Johnny Truant, un ragazzo di circa vent'anni, che vive nella casa dove il suo vicino, un vecchio di nome Zampanò, ha tirato le cuoia. Zampanò ha lasciato un manoscritto incompleto, pieno di citazioni, su questo Will Navidson, i suoi figli, la sua famiglia e chiunque abbia gravitato attorno alla casa. La casa, che influisce sulla salute fisica e mentale delle persone con cui entra in contatto, e che è pervasa da una fredda e totale oscurità che divora qualsiasi cosa. In pieno stile Amytiville, insomma. Perché questo mi ha ricordato. Ma, quasi come a beffarsi del lettore, in una finta serie di interviste condotte da Karen Green - la compagna fedifraga e madre di Chad e Daisy - viene proprio detto ciò: che la casa non è costruita su un cimitero indiano. Peccato, perché sarebbe stata una spiegazione logica, quantomeno. Ma in questo romanzo non c'è niente di logico.
Le note di Johnny, un narratore inaffidabile sin dall'inizio, costituiscono gran parte delle digressioni sulla sua vita e sulla sua storia personale, e fin troppe volte la sua storia personale si fonde con quella di Navidson; tanto che mi sono ritrovata a supporre prima che Navidson fosse in realtà Zampanò. E poi, forse, a mettere in dubbio che tutto questo malloppo sia vero, cioè che sia una storia vera raccontata da Johnny. I traumi che ha subito Johnny da piccolo hanno seriamente compromesso la sua sanità mentale, su questo non c'è alcun dubbio. E le digressioni sono rese in un tale flusso di coscienza che è gran difficile trovare un punto in quel marasma di frasi collegate solo dalla virgola o dalla parentesi tonda. Ti lasciano proprio senza fiato, le sue digressioni. Ho iniziato a sospettare che tutta la storia non fosse reale, cioè non fosse una fake tesina, quando egli stesso ha dichiarato di inventare storie per far colpo sulla gente. Storie che racconta in modo credibile, talmente credibile che la gente non mette in dubbio il fatto che siano vere oppure no. E, secondo me, tutto questo mattone è la rappresentazione del bipolarismo di Johnny che poi... è davvero bipolare, oppure no? Le ultime lettere fanno pensare a tutt'altro. Ah, cavolo, era MOLTO più semplice 4321 di Paul Auster!
La cosa che ho trovato più disturbante e confusionaria, è il fatto che il confine tra la realtà e la fantasia è flebile, labile. Ti ritrovi a mettere in dubbio che ciò che tu stai leggendo sia davvero finto, inventato oppure se è davvero la realtà. In fondo, è questa la bellezza della metanarrativa, no? E' meta proprio per questo: ti fa mettere in dubbio ogni cosa, pure la tua sanità mentale lol
Devo ancora trascrivere le poche citazioni che ho trovato, quindi ci lasciamo qui.
Mi raccomando, se dovete leggerlo prendetevi una settimana o due. Leggete con calma.
Altrimenti questo mattone vi sembrerà insormontabile, e vorrete mollarlo su due piedi.
xoxo,
Giada